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Il momento tanto atteso è arrivato.

Alla fine della gravidanza arriva il momento del parto. Se la gravidanza non ha presentato complicazioni e se non vi sono stati precedenti interventi sull’utero ecco cosa c’è da sapere.

  • Il travaglio di parto evolve favorevolmente in circa l’80% dei casi concludendosi con un parto spontaneo per via vaginale, senza complicazioni;
  • al momento del parto vaginale, potrebbe essere necessario praticare, previa anestesia locale, un taglio a livello dell’ingresso della vagina (episiotomia), allo scopo di rendere più agevole l’espulsione del feto; non praticando questo taglio potrebbero verificarsi delle lacerazioni della vagina difficili da ricucire; questo piccolo taglio (o comunque qualsiasi lacerazione della vagina) viene successivamente ricucito e guarisce senza lasciare esiti nella grandissima maggioranza dei casi; tuttavia, in rari casi, se a livello della sutura dovesse formarsi una raccolta di sangue (ematoma), potrà essere necessario risuturare la ferita; sempre in una esigua percentuale dei casi, la cicatrice dell’episiotomia (o di una qualsiasi lacerazione vaginale) potrà risultare dolente;
  • in circa il 20% dei casi il travaglio di parto può presentare delle complicazioni non prevedibili per le quali, al fine di tutelare la salute e la vita della madre e del feto, è necessario procedere all’estrazione del feto per via vaginale con l’utilizzo del forcipe o della ventosa o per via addominale con taglio cesareo urgente;
  • in assenza di complicanze si farà il possibile per giungere ad un parto per via vaginale, anche se ciò comporterà un prolungamento del travaglio;
  • qualora il parto non avvenga entro la 41^ settimana, sarà posto in atto un programma di sorveglianza fetale intensiva che consiste in frequenti ecografie con valutazione delle condizioni del feto anche mediante lo studio del flusso di sangue (esame Doppler) nel cordone ombelicale ed in varie arterie e vene del feto e in frequenti tracciati cardiotocografici che, attraverso lo studio della frequenza del battito cardiaco fetale, consentono di valutare le condizioni di ossigenazione del feto;
  • sempre qualora il parto non avvenga entro la 41^ settimana sarà valutata la possibilità di procedere all’induzione del travaglio di parto con metodiche farmacologiche (somministrazione di prostaglandine e/o ossitocina, farmaci capaci di indurre il travaglio o, in alternativa, la stimolazione del travaglio mediante l’introduzione nel collo dell’utero di un piccolo palloncino gonfiabile che , aumentando di volume, stimola l’insorgenza di contrazioni);
  • dopo un parto spontaneo senza complicazioni è prevista una degenza di circa 2-3 giorni e la presenza di perdite vaginali di sangue/muco per circa 20 giorni.

La ventosa ostetrica è uno strumento costituito da una “coppetta”, di materiale plastico che viene applicata sulla testa del feto. Successivamente viene creato il vuoto fra la coppetta e la testa del feto in modo da fare aderire tenacemente lo strumento. Quindi il medico che assiste il parto esercita delle trazioni su un cavetto che parte dalla ventosa in modo da facilitare la fuoriuscita della testa del feto. Viene utilizzato quando, per tutelare la salute del feto, è necessario accelerarne il processo di fuoriuscita e il travaglio procede in maniera stentata.

L’utilizzo della ventosa non si associa a complicanze a carico della madre ma richiede, quasi sempre, l’episiotomia. A carico del neonato si osserva di solito la comparsa di un piccolo ed innocuo rigonfiamento nella sede di applicazione, che scompare dopo pochi giorni. In casi rari è possibile che si formi una raccolta di sangue fra cute e rivestimento delle ossa craniche (cefaloematoma), che guarisce per lo più spontaneamente ma può richiedere eccezionalmente un piccolo intervento di svuotamento. Del tutto eccezionale (e secondo alcuni non correlata all’uso della ventosa) è il verificarsi di emorragie intracraniche che rappresentano, invece, una complicanza grave e in taluni casi mortale.

Il forcipe ostetrico è uno strumento costituito da due “branche” che hanno grossolanamente la forma di cucchiaio. Le due branche si articolano fra di loro all’incirca a metà della loro lunghezza, andando a formare una sorta di pinza. Le due estremità a forma di cucchiaio vengono applicate attorno alla testa fetale, le due branche vengono articolate a formare la pinza e il medico esercita delle caute trazioni, sincrone alle spinte materne, in modo da facilitare la fuoriuscita della testa. Viene utilizzato quando, per tutelare la salute del feto, è necessario accelerarne il processo di fuoriuscita e il travaglio procede in maniera stentata. Nella quasi totalità dei casi è necessario praticare preventivamente l’episiotomia.

L’utilizzo del forcipe può risultare estremamente utile e spesso provvidenziale per salvaguardare la salute e la vita del nascituro. Tuttavia possono verificarsi complicanze a carico della madre e del feto.

A carico della madre è possibile il verificarsi di lacerazioni della vagina e degli organi adiacenti che potranno guarire perfettamente o esitare in danni permanenti, con difficoltà nei rapporti sessuali o nella defecazione; inoltre, l’utilizzo del forcipe è stato messo in relazione ad una maggiore incidenza di prolasso degli organi pelvici negli anni a venire. La convalescenza può risultare prolungata.

A carico del feto è possibile il verificarsi di piccole lacerazioni o contusioni del capo; più raramente si può assistere a danni da compressione o da trazione di alcuni nervi del cranio con conseguente paresi (spesso transitoria) o strabismo; estremamente raro è il verificarsi di emorragie intracraniche, talvolta mortali.

L’intervento di taglio cesareo, consiste nell’estrazione del feto dall’utero attraverso un’incisione della parete dell’addome, attraverso i suoi vari strati, e dell’utero. Il taglio sull’addome è generalmente trasversale (orizzontale), più raramente longitudinale (dall’ombelico al pube). Tuttavia, in alcuni casi può essere necessario procedere ad allargare un’incisione orizzontale anche in senso longitudinale; in tal caso, si avrà una cicatrice a forma di T rovesciata. In assenza di complicazioni, comporta: dolore addominale/ pelvico (mal di pancia) per alcuni giorni, necessità del catetere vescicale per 24-48 ore, temporaneo blocco della funzione intestinale (blocco del passaggio del gas e delle feci) per circa 24-72 ore, perdite di sangue/muco dalla vagina (lochiazione) per circa 20 giorni, una degenza di 3-5 giorni ed una convalescenza di circa 10 giorni.

Come tutti gli interventi chirurgici anche il taglio cesareo comporta alcuni rischi ed imprevisti (complicazioni); i più frequenti sono:

  • complicanze legate all’anestesia;
  • perdite eccessive di sangue (emorragia); in tal caso potrà essere necessario ricorrere a trasfusioni e, in casi estremi, all’asportazione dell’utero con successiva impossibilità a procreare;
  • infezioni, con necessità di terapie antibiotiche e, nei casi estremi, di un nuovo intervento per rimuovere raccolte infette (ascessi) che possono essersi formate;
  • flebiti e tromboflebiti (infiammazione e blocco della circolazione in una vena) che di solito si risolvono con terapia medica ma che possono in rarissimi casi condurre ad ulteriori complicanze molto gravi (embolia polmonare, ictus);
  • possibile formazione di adesioni fra le anse intestinali, come in qualsiasi intervento in cui si apre la cavità addominale; in rari casi ciò può condurre ad un blocco della funzione intestinale con necessità di un nuovo intervento per rimuovere le adesioni
  • lesioni accidentali dei visceri addominali e pelvici (vescica, ureteri, intestino); questo rischio è tanto maggiore quanti più interventi sono stati praticati in precedenza
  • anomalie di guarigione della ferita sulla cute con formazione di una cicatrice esteticamente poco gradevole

Sono dunque a conoscenza della possibilità che, nel corso dell’intervento, si possa riscontrare una situazione diversa da quella prevista che richieda un trattamento più complicato e differente da quello precedentemente discusso; autorizzo pertanto l’operatore ad eseguire più estese procedure con eventuale asportazione di organi e/o tessuti ad insindacabile suo giudizio per la buona riuscita dell’intervento. Inoltre, sono stata informata che, il taglio cesareo comporta:

  • Aumentato rischio di disadattamento neonatale (distress respiratorio del neonato) rispetto al parto vaginale
  • Aumento significativo di complicanze nelle successive gravidanze
  • Aumento del rischio chirurgico in caso di successivi interventi chirurgici sulla pelvi
  • Aumento della mortalità materna rispetto al parto vaginale

Parto spontaneo dopo un precedente cesareo

Se nella mia precedente gravidanza ha partorito con taglio cesareo deve tener presente che questa condizione pur comportando un lieve aumento del rischio di rottura d’utero in travaglio, non costituisce una controindicazione assoluta ad un tentativo di travaglio finalizzato ad un parto vaginale. Il timore principale che caratterizza questi travagli è di una possibile rottura d’utero, evento che negli studi disponibili in letteratura si presenta con una frequenza dello 0.2%-0.8%, nei casi d’incisione trasversale del segmento uterino inferiore nel corso del precedente cesareo.

Un dato che ricorre in letteratura indica una maggior frequenza di questo evento quando il travaglio di prova si realizza in epoca vicina al taglio cesareo, intesa come entro i 24 mesi dallo stesso. E’ possibile dopo precedente taglio cesareo indurre, ove necessario il travaglio con farmaci; questa procedura comporta un lieve, ulteriore aumento del rischio di rottura, quantificabile in una probabilità circa 3 volte superiore ai dati sopra descritti.

La tabella di seguito riportata rende idea di queste probabilità.

Incidenza Rottura d’Utero dopo Pregresso TC

  • Rischio di rottura di utero con taglio cesareo elettivo …………………………… 1.6/1000 (11/6980)
  • Rischio di rottura di utero con Parto vaginale spontaneo ………………………… 5.2/1000 (56/10789)
  • Rischio di rottura di utero con Parto vaginale indotto …………………………………… 7.7/1000 (15/1960)
  • Rischio di rottura di utero con Parto vaginale indotto con prostaglandine ………………………… 24.5/1000 (9/366)

E’ possibile in corso di travaglio dopo pregresso taglio cesareo somministrare ossitocina per aumentare o regolarizzare la necessaria attività contrattile uterina. Anche tale pratica comporta un lieve aumento del rischio di rottura d’utero. Lo staff clinico del reparto ha valutato attentamente la mia storia clinica ed ha escluso la presenza di condizioni che controindichino il tentativo di travaglio per parto vaginale.

La Sala Parto deve essere dotata di tutti i sistemi di sicurezza per l’espletamento di un taglio cesareo d’emergenza, ove in caso di rottura d’utero fosse necessario procedere all’intervento con estrema urgenza. Il personale medico deve essere in grado, in questo caso, di far nascere il mio bambino in tempi che rientrano in quelli ritenuti corretti dalle principali Società Internazionali. Per motivi di sicurezza sarà necessario in corso di travaglio mantenere un monitoraggio cardiotocografico continuo. Per motivi analoghi è opportuno applicare un’ago-cannula in vena ad inizio travaglio.

L’Agenzia di Sanità Publica (ASP) così si esprime riguardo il travaglio di prova dopo pregresso cesareo:

  • Considerata la rarità dell’evento rottura d’utero, una donna con uno o due pregressi tagli cesarei con una incisione trasversa sul segmento uterino inferiore, in assenza di controindicazioni ostetriche, è candidata per effettuare un travaglio di prova
  • Per un travaglio di prova sicuro, dopo un pregresso taglio cesareo, la donna dovrebbe partorire presso una struttura nella quale sia possibile effettuare un taglio cesareo d’urgenza tempestivamente
  • Quando manca qualsiasi documentazione sulla modalità del pregresso taglio cesareo, oppure in caso di pregressi interventi chirurgici quali miomectomie con apertura della cavità uterina, è fortemente sconsigliato il travaglio di prova
  • Il sospetto di macrosomia fetale non costituisce una controindicazione per un travaglio di prova
  • L’induzione del travaglio con ossitocina può essere associato ad un rischio aumentato di rottura d’utero e dovrebbe essere effettuato dopo un attento ed appropriato counselling
  • Il potenziamento del travaglio mediante ossitocina non è controindicato nel travaglio di prova
  • L’utilizzo di prostaglandine è associato ad un incrementato rischio di rottura d’utero e tale utilizzo va preso in considerazione nei casi particolari in cui lo si ritenga opportuno